venerdì 29 marzo 2013

L'effetto della spesa pubblica sul voto

Da qualche giorno mi ponevo la domanda su quanti effettivamente siano i voti strappati all'elettorato con la spesa pubblica, direttamente o indirettamente. Del rapporto tra la sopravvivenza dello Stato e quella del cittadino ho già parlato più volte nel mio blog, ad esempio qui, ma stavolta ho voluto cercare qualche dato concreto per non parlare sempre a vuoto. 
Il risultato è stato terrificante. 

Il numero di elettori è di 47.160.244 alla Camera e 43.062.020 al Senato.
Consideriamo come base quelli della Camera, più numerosi.

La prima categoria sicuramente legata alla spesa pubblica sono i dipendenti pubblici, di qualunque tipo, ed in tutto sono circa 3,6 milioni. 
Supponiamo che nessuno di questi dipendenti sia un'isola, quindi avranno amici, figli, consorti, nipoti. Ogni dipendente pubblico potrebbe quindi portare con sé almeno un altro voto, facciamo il voto di un familiare. Qualcuno porterà quelli di tutti i figli, qualcuno non ne porterà nessuno. In media, però, un voto a testa riusciranno a portarlo, per un totale di 7,2 milioni di voti. 
Siamo già al 15% degli elettori condizionati dalla spesa pubblica.

La seconda categoria sono le imprese. 
Per questo calcolo mi sono servito di parecchie approssimazioni, perché è impossibile sapere quante imprese abbiano attualmente un contratto con lo Stato o siano in potere di ottenerne uno. Mi spiego: se esistono 10 imprese che realizzano strade ma soltanto 3 di esse hanno un contratto in corso con lo Stato, le altre 7 saranno comunque interessate all'aumento della spesa pubblica, perché lavorano in un settore di esclusiva competenza pubblica. Queste 7, se non hanno ora un contratto, lo avranno in futuro tramite gare d'appalto. 
Ho quindi recuperato i dati sulla spesa pubblica totale italiana del 2011, ho scremato questa spesa di tutti gli stipendi al personale (politico, militare, civile) ed il restante dovevano necessariamente essere soldi che andavano a finanziare imprese che hanno lavorato per lo Stato, direttamente o indirettamente. 
Il risultato è di 635 miliardi di euro di spesa pubblica, circa il 50% del PIL nazionale.
Le imprese italiane sono circa 6 milioni, per circa 10 milioni di soci in tutto. Essendo tutte piccole e medie imprese, possiamo supporre che questo 50% del PIL sia prodotto da circa la metà delle imprese. 
Quindi, metà delle imprese hanno ricevuto, ricevono o riceveranno i soldi pubblici. 
Siamo a 5 milioni di voti di imprenditori.
Facciamo lo stesso discorso dei dipendenti pubblici, supponiamo che ognuno porti almeno un voto (e ci vado piano, perché potrebbero portare anche quelli degli operai) ed arriviamo a un totale di 10 milioni di voti dagli imprenditori. 
Sono il 21% dell'elettorato che, sommato al precedente 15%, ci porta al 36%. 

Passiamo ai disoccupati e ai pensionati, che non ricevono direttamente denaro dallo Stato ma sono una fonte di potenziali lavoratori statali e sono iscritti ai sindacati o condizionati dalla Chiesa ed altre associazioni potenti. 
I pensionati italiani sono circa 12 milioni, ai quali bisogna aggiungere circa 2,7 milioni di invalidi civili, finti o veri non importa. 
Circa 3 milioni di pensionati sono iscritti ad un sindacato, e vanno a costituire il 6,5% dell'elettorato. Supponiamo che dei restanti 9, almeno un terzo votino partiti di tradizione socialista (in Italia molto radicata), e raddoppiamo a 13%.
Stavolta, siccome parliamo di pensioni, mi sento di non aggiungere l'elettore in più per ognuno.
Per i disoccupati il calcolo è più difficile, ma supponendo anche stavolta che un terzo di loro voti partiti di retaggio socialista,  abbiamo altri 900.000 potenziali elettori legati alla spesa pubblica, circa l'1,9% dell'elettorato.
Sommiamo 13% + 1,9% ed otteniamo 14,9% di voti da disoccupati e pensionati, voto più voto meno. 

I calcoli sono sommari, ma non avevo l'intenzione di condurre uno studio accurato, bensì di farmi un'idea generica. Ora sappiamo che il 50,9% dell'elettorato, più della metà, è legato alla spesa pubblica da interessi diretti o indiretti. 

Questo senza tenere conto, come già dicevo, di ulteriori condizionamenti, e senza tenere conto che la metà delle imprese escluse da questo gioco potranno sempre ottenere eventuali contratti con lo Stato, quindi non sono da escludere del tutto. Io le ho escluse per dare un quadro meno disastroso, ma il risultato è stato ugualmente preoccupante.

Questi dati spiegano il motivo per cui i tagli alla spesa pubblica siano in tutti i programmi elettorali nominalmente, ma in pratica non viene fatto nulla. Le privatizzazioni fanno paura ai partiti, perché ridurrebbero il bacino di voti sicuri. 
Il M5S non ha ottenuto così tanti voti soltanto perché Grillo sa gridare, ma anche perché il suo programma farebbe invidia a quello di Stalin e contiene spese pubbliche doppie o triple rispetto a quelle attuali. 


2 commenti:

  1. eccellente. perché non chiedi a Facco di pubblicarlo? Inoltre tu ignori, credo volutamente, il fattore astensionismo, che rende molto più incisiva la quota di voti ancorata alla spesa pubblica.
    Giacomo Consalez

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  2. Sì, ho ignorato volutamente l'astensionismo perché è un fattore troppo variabile, anche se, pensandoci, avrei potuto considerare un certo astensionismo frizionale andandolo a quantificare con il minimo storico dall'inizio della repubblica. Ma sarebbe stato comunque poco veritiero, perché chiunque può astenersi dal voto, per i più svariati motivi.
    Comunque grazie del consiglio, ora chiedo.

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