venerdì 8 novembre 2013

Presunta incostituzionalità del M5S

Leggere i quotidiani fa male. Leggere i quotidiani schierati a sinistra, fa ancora più male. Mi è stato portato all'attenzione, infatti, un articolo del Corriere che sarebbe stato scritto da un esimio esperto di scienze politiche, uno di quegli accademici nati nel 1924 che continuano a scrivere perché non hanno imparato a fare altro nella vita. E che, alla veneranda età di 89 anni, scrivono baggianate. 


La questione riguarda la presunta incostituzionalità del movimento 5 stelle. Secondo Giovanni Sartori, i parlamentari del M5S non potrebbero stare in Parlamento perché l'art. 67 della Costituzione vieterebbe il vincolo di mandato. Esso recita: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato."
Come ogni Costituzione post-rivoluzione francese, anche la nostra Costituzione vieta il mandato imperativo, istituto medievale che compara il mandato parlamentare ad un mandato di tipo privatistico. I parlamentari vincolati dal mandato imperativo avrebbero, quindi, un dovere giuridico a conformarsi alla esatta volontà degli elettori ed andrebbero in assemblea con obiettivi ben precisi da perseguire, pena la revoca immediata del mandato. Esattamente come potrebbe fare l'AD di un'azienda con un suo procuratore o mandatario. 
Ma la civiltà ci ha detto che il mandato imperativo era poco sicuro e che ogni parlamentare debba perseguire l'interesse generale, qualunque cosa esso sia. 

Parlerò più diffusamente del mandato in seguito, per ora mi soffermo sulle parole di Sartori:
«Ma questi eletti [del m5s, ndr] hanno titolo per entrare e votare in Parlamento? Secondo l’articolo 67 della Costituzione, no. Perché gli eletti del Movimento 5 Stelle sono appunto vincolati da un mandato imperativo di agire, parlare e votare solo su istruzioni di Grillo e del suo guru; una sudditanza che li obbliga, senza istruzioni, al silenzio o alla inazione.»
Non serve un politologo per sapere che qualunque partito impone ai suoi membri di seguire la linea decisa dall'organo preposto alla direzione. Il Movimento 5 Stelle non fa eccezione.
L'unica differenza con i partiti tradizionali sta nell'assenza - per ora - di vincoli di tipo differente tra il capo del partito ed i membri. Ciò permette a Grillo di escludere dal suo movimento chiunque non gli vada a genio, senza tener conto di altri eventuali interessi che potrebbero legarlo a quella persona. Cosa che, invece, si verifica puntualmente nei partiti di vecchia data, dove tra i membri più importanti esistono legami economici o addirittura familiari, che impedirebbero rotture definitive e costringono a convivenze forzate e compromissorie. E' pur vero anche l'inverso: se nel M5S si può rischiare di sfidare i vertici senza temere ripercussioni anche economiche o familiari, negli altri partiti bisogna tener conto che tra sfidati e sfidanti continueranno ad esistere legami. E si sa quanto sia difficile la convivenza forzata. 
In un certo senso, quindi, nel M5S esiste maggiore libertà che nei partiti tradizionali ed il vincolo di mandato è davvero soltanto un vincolo di mandato. 

Se bastasse la fedeltà al capo del partito per attivare il meccanismo di esclusione dell'art. 67, dovremmo sbattere fuori dal parlamento il 100% degli eletti, poiché tutti sono vincolati in qualche modo alla volontà del partito di appartenenza. 

Fino ad ora non si è mai verificata una simile eventualità e, vista l'esperienza pluridecennale in questo senso, si può ormai parlare di prassi consolidata
Sartori arriva un po' in ritardo: avrebbe dovuto fare le sue osservazioni nei primi anni cinquanta, quando nel neonato Stato italiano non si poteva ancora parlare di prassi o costituzione vivente. 
L'attuale prassi prevede l'esistenza di programmi elettorali che i partiti amano presentare per punti, per poter poi dire quanti e quali punti sono stati rispettati. L'elettore vota un programma, quindi da un mandato al partito - e per estensione ai suoi membri che andranno in parlamento. I membri del partito in parlamento, poi, si impegnano a seguire la linea dettata dal partito, pena l'esclusione dal partito o dal gruppo parlamentare. Esattamente come nel M5S. 

Un sostenitore di Sartori ha detto che, a differenza del M5S, nei partiti tradizionali nulla vieta di andare contro la volontà del capo del partito, e di esprimersi dunque diversamente da lui. Ho già dimostrato, però, che non è così. Negli altri partiti, semplicemente, sono più bravi a fare polemica su argomenti di poco conto, per dare una parvenza di democrazia interna, ma sulle questioni più importanti si invoca immediatamente la sacrosanta unità per il bene di tutti, del popolo, del partito e del mondo intero che guarda all'Italia con invidia perché ha i provoloni. 

In conclusione, l'intervento di Sartori mi sembra fondato su basi puramente accademiche, che non tengono conto della realtà e di come i partiti tradizionali riescano a vincolare i loro membri più del tirannico Beppe Grillo. 
Il Movimento 5 Stelle non è incostituzionale, se vogliamo considerare valida la prassi consolidata dei partiti e dei loro programmi, e di come questi si ripercuotano sugli equilibri in Parlamento. 
Se invece vogliamo fare un'inversione di tendenza e abbandonare la prassi (ma ciò comporterebbe l'abbandono di numerosissime prassi che ora crediamo siano legge), allora tutti i partiti sono incostituzionali e andrebbero espulsi immediatamente dal Parlamento. 

La seconda opzione, per quanto improponibile, ha un che di allettante. 


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