mercoledì 19 marzo 2014

L'emigrazione criminalizzata

Tra le tendenze umane più meschine, vi è quella di colpevolizzare o demonizzare gli individui più benestanti della società, o comunque coloro che sembrano non patire le sofferenze della maggioranza. E' facile, per la moltitudine degli oppressi e degli invidiosi, vedere nel benestante il nemico e la causa di ogni male.
Lo Stato è consapevole di questo istinto e vi fa leva ogni volta che sguinzaglia la Guardia di Finanza su quegli esercizi commerciali ritenuti "grandi evasori". Se ricordate il caso di Cortina e dei ricchi orefici che avevano evaso milioni di euro di tasse, capirete immediatamente a cosa mi riferisco. 


Negli ultimi anni, però, non sono soltanto i "grandi evasori" ad essere stati messi sul rogo degli eretici, ma anche i migranti. Coloro che, oppressi da un sistema di tassazione criminale, hanno deciso di delocalizzare le loro imprese all'estero, o di trasferirsi oltreconfine a cercare una posizione lavorativa migliore. 

Ascoltando uno dei tanti talk show che affollano la prima serata della tv italiana, mi sono imbattuto in un operaio che inveiva contro gli emigrati, chiedendo loro se non si sentissero almeno un po' in colpa per essere scappati dal loro Paese e aver trovato un lavoro meglio retribuito all'estero. Altri, spinti dalla medesima invidia, hanno subito fatto eco all'operaio, scatenando buoni 10 secondi d'odio di cui Orwell sarebbe stato fiero. 

Fino a dieci o venti anni fa, non avremmo mai assistito a una scena del genere. Questo perché ci trovavamo in una fase in cui l'emigrazione non minacciava ancora il Governo, quindi non era criminalizzata. L'emigrato, vent'anni fa, era ancora un pioniere, un coraggioso, un esempio di italiano "che esporta all'estero la nostra eccellenza".
Ora il migrante è un esempio di italiano che non vuole pagare le tasse ad un Governo criminale e fugge dove sono più basse, sottraendosi alla colletta che fa lo Stato ed obbligando chi resta a pagare cifre più alte.
Ma la sostanza è la stessa, sia vent'anni fa, che oggi: un cittadino emigra dove le condizioni di vita sono migliori.
A cambiare è il modo di concepire l'emigrazione e la sua funzione di "protesta" non violenta. 


L'emigrazione meno intensa è quella che potremmo definire "di base", e comprende tutti coloro che ogni anno lasciano il Paese per i più svariati motivi, non soltanto economici. Questa fase è generalmente presente in ogni Paese e non preoccupa i Governi, passando per lo più inosservata.
Vi è poi una fase più intensa, che si ha quando le condizioni di vita iniziano a peggiorare e chi ne ha la possibilità si sposta all'estero. E' in questa fase che l'emigrazione viene notata dai Governi e dagli istituti di statistica.
Infine c'è la fase del grande esodo, alla quale ci avviciniamo: chiunque possa scappare, lo fa, consapevole che non c'è più nulla da fare. 

Quest'ultima fase è quella che maggiormente preoccupa i Governi, non solo perché le imprese si sottraggono al violento giogo fiscale, ma anche perché ogni abbandono rappresenta un atto di sfiducia verso il Governo in carica. E un voto in meno, ovviamente.

Quando l'emigrazione diviene esodo, il Governo risponde additando i migranti come traditori della patria. 
A questo punto le reazioni dei cittadini sono due:
- farsi una risata.
- credere al Governo e convincersi che i migranti siano traditori da riportare in patria affinché subiscano le stesse torture fiscali di chi è rimasto. 

L'opzione due, però, può esistere soltanto ad una condizione: che il Governo sia stato bravo nell'opera di indottrinamento, e cioè nel far credere che esistano valori più alti dell'individuo e del suo benessere.
Quando si pretende che un cittadino sacrifichi il suo benessere (fisico, mentale o economico è indifferente) e la sua felicità per un altro fine, allora si sta ammettendo che non esiste alcun primato dell'essere umano. Che l'essere umano è un gradino al di sotto delle sue stesse invenzioni, tra le quali figura appunto lo Stato. 
Concependo lo Stato come superiore all'individuo, è chiaro che chi non resta a farsi schiavizzare figurerà come un codardo che non vuole adempiere ai suoi doveri.

Ma se invece ammettiamo che il primato sia dell'individuo, dell'essere umano, e che esso abbia il diritto di ricercare la propria felicità ed il proprio benessere, allora la cosa si fa difficile per il Governo accusatore, perché si ritroverà immediatamente in concorrenza con il resto del Mondo. E si scoprirà debole, inetto. Perciò ha bisogno di far creder che lo Stato sia superiore: per evitare questo gioco di concorrenza e trattenere presso di sé quanti più cittadini possibili. 

La cosa sarà più chiara con la classica metafora della nave che affonda. La nave è lo Stato, i passeggeri sono i cittadini.
Ammettiamo che alcuni si rendano conto che la nave stia muovendo verso un iceberg. Questi urlano per avvisare gli altri, ma non vengono ascoltati e si tuffano a mare per salvarsi. 
L'iceberg si avvicina, altri passeggeri se ne accorgono, qualcuno ode le loro grida di allarme e insieme tentano di avvisare il Capitano, che se ne frega e continua a mirare dritto verso l'iceberg. Questi cittadini si tuffano e si salvano.
Infine, l'iceberg è a pochi metri dalla nave. Tutti lo hanno visto, ma è impossibile dirlo al Capitano, che continua a fregarsene. A questo punto, vorreste dirmi che si tuffa a mare sia un traditore? Se fino ad allora il Capitano stesso se ne fregava della rotta, e tuttora lo fa, in qual misura l'uomo che si tuffa a mare è un traditore?
Sarà, piuttosto, oggetto dell'invidia di chi non sa nuotare o non ha il coraggio di tuffarsi. Nel panico generale e nell'impossibilità di fare qualcosa, la massa rimasta sulla nave sfogherà ogni sentimento negativo nell'odio verso chi si è messo in salvo, dandogli ogni colpa, persino quella di non aver spinto via l'iceberg o di non voler morire sulla nave da veri uomini patriottici del ca.

Io credo, invece, che chiunque possa scappare debba farlo. Lo Stato dovrebbe esistere per proteggere la proprietà privata ed i diritti dell'uomo, null'altro. L'unico fine dello Stato è quello di garantire al cittadino il perseguimento della felicità, rimuovendo ogni pericolo ed ostacolo.
Nessuno presta giuramento di fedeltà allo Stato nell'atto della nascita. Nessuno ha alcun dovere morale verso lo Stato. E' lo Stato ad averne verso i cittadini. E quando lo Stato viene meno, per salvaguardare la propria felicità, il cittadino può e deve emigrare. 

Il vero tradimento sarebbe restare e impedire a se stessi e a chi ci sta intorno di essere felici. 
Che senso avrebbe vivere per pagare le tasse ad uno Stato morente per sua stessa scelta? 

6 commenti:

  1. Bellissimo articolo, complimenti.

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  2. La gente mi sembra davvero stia impazzendo su questo argomento, sembra quasi che le aziende siano considerate una proprietà pubblica quando vanno bene e una proprietà privata quando vanno male.
    Cioé siamo all'opposto del sistema bancario: le banche non possono fallire e vanno salvate, le aziende non possono andarsene per salvarsi da sole.

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  3. Eh, esattamente, hai riassunto benissimo la questione - triste - delle imprese italiane.

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  4. Perché in Italia l'imprenditore vero, quello che rischia di suo, è il diavolo. Siamo una nazione fondamentalmente fascista, nel senso più vero del termine (connivenza tra corporations e stato) lo siamo sempre stati e lo saremo finché non torneremo ad una situazione migliore: la disgregazione in tanti, piccoli, vitali agglomerati umani.

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  5. Sottoscrivo ogni parola

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