lunedì 16 settembre 2013

Parabole stataliste: stabilità e larghe intese

Ammiro la sottile abilità con la quale i politici ci stanno portando ad odiare la concorrenza tra partiti. Mi riferisco a tutti quei costrutti e registri lessicali elaborati appositamente per cambiare la sostanza dei fatti, per mascherarla, deformarla. 
La crisi è stata salutare per la casta politica perché le ha permesso di smantellare il teatro sul quale gli attori fingevano di sfidarsi con spade di plastica e deboli stoccate. Non devono più fingere di essere divisi, ora hanno l'opportunità di stare uniti apertamente e hanno anche una valida scusa per non disaggregarsi mai più. Sono un po' come quelle coppiette di fidanzati che finalmente escono allo scoperto e fanno di tutto per recuperare il tempo perso e dimostrare alla società quanto siano uniti. 

Il linguaggio è molto importante in questo graduale processo di rimodulazione della concezione della politica. 
Scomponiamo il problema per farcene un'idea. La politica, in democrazia, è la concorrenza che avviene tra due o più candidati (sottoforma di persone o di gruppi di persone) che si sfidano davanti alla società per dimostrare chi è il migliore a governare. Con lo strumento del voto, del dissenso più o meno violento, della critica, la società esprime il suo parere sul governante di turno, che può andare dal consenso fino alla revoca del mandato. 
Siccome la democrazia si basa su un sistema concorrenziale, e quindi sul confronto, il mandato non può durare in eterno ma ha una durata limitata, così da far sentire sempre il governante in concorrenza con gli altri. Per dirla con una metafora, la scadenza del mandato rende scomodo lo scranno del potere. 
Ma a nessuno piacciono gli scranni scomodi. Noi vogliamo poltrone.
Teoricamente, in un sistema democratico, tutti i maggiorenni sono nel gioco della politica, poiché tutti sono potenzialmente eleggibili. Sarebbe, questo, una sorta di sistema di concorrenza perfetta, in cui un solo errore è fatale.
La perfezione, però, non è di questo mondo. Noi abbiamo creato barriere all'entrata in questo "mercato della politica" che impediscono a chi sta sullo scranno di sentirsi davvero in pericolo. Lo scranno diventa pian piano poltrona. E' infatti soltanto teorica la minaccia allo scranno che esercitano tutti i maggiorenni della Nazione. In realtà ben pochi di loro riusciranno a scalare tutto il cursus honorum necessario ad arrivare tra i veri candidabili agli scranni che contano. 
Essendo così pochi in percentuale rispetto alla totalità della Nazione, essi più che una concorrenza perfetta, formano un oligopolio, cioè un mercato di pochi. E i pochi, soprattutto se hanno un nemico comune costituito dai molti, si coalizzano facilmente e fortificano la posizione. 

Siccome noi ci aspettiamo ingenuamente che questi pochi siano sempre in concorrenza fra di loro e che da questa concorrenza ne nascano offerte politiche sempre migliori, essi fingono di combattersi. 
Ora che hanno potuto smettere, hanno creato un linguaggio apposito per giustificare moralmente la nascita del monopolio. 
Iniziano così a parlare di larghe intese e di governi di servizio, che in realtà non significano niente, ma fanno effetto perché sono accompagnate da una demonizzazione della concorrenza politica, definita improvvisamente lotta
Tutto si gioca sulle metafore e su ciò che le parole evocano. 
Tempo fa era confronto politico, ora è lotta; questo evoca odio, rancore, violenza, che è sempre da disprezzare rispetto ai bei sentimenti che la parola intesa ci suscita. Nella sostanza, però, l'intesa non è altro che dittatura
Siccome esiste un nemico comune che è "lacrisi", essere uniti è responsabilità. Già, è un dovere, è un atto che fanno a malincuore perché gli piaceva così tanto combattere, eppure si sono uniti per noi perché sono responsabili. Ed attaccano con la forza del moralismo religioso tutti coloro che usano un linguaggio differente (Grillo) perché questi farabutti ricordano agli italiani che è la sostanza che conta, non la forma
I politici temono la sostanza, perché sanno che la loro sostanza è materia organica anfibia.

E poi c'è tutto quel mostrarsi sempre seri e con la bocca a culo di gallina, tutto quel formalismo sfrenato, religioso, da sacerdoti. E' sempre un po' un funerale, la politica. Prima c'era il Berlusconi sorridente e ottimista che con i suoi colpi di scena faceva sempre un po' ridere, ma ora si deve dare un taglio netto a queste scenette guascone: ora bisogna ricordare agli italiani che siamo sotto assedio e lo si fa sempre, con la Boldrini che è pronta a condannare dei deputati che dimostrano liberamente su un simbolo del potere, con Napolitano che ripete sempre le stesse parole dal sapore così dolcemente dittatoriale, con Letta che fa le sue metafore ridicole sull'UE che bacchetta e sull'Italia che fa i compiti a casa
Tutta forma. Solo forma. 
Nella sostanza siamo ancora uno Stato in cui è impossibile fare impresa ed in cui la ricchezza è demonizzata, così che nessuno la ricerchi visto che lo Stato è l'unico a poterla detenere. 

Rileggete sempre i discorsi dei politici. Eliminate sempre le parole che a primo impatto non significano niente, perché continueranno a non significare niente neanche a secondo impatto. Sostituite le espressioni formali con qualcosa di più concreto. Avete un risultato che non ha senso? E' normale: in genere, quando parlano, non stanno dicendo nulla anche se poi, noi, litighiamo su quel nulla. 





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