giovedì 1 maggio 2014

La riforma costituzionale del nulla

E' prematuro spendere troppe parole sui tecnicismi della riforma costituzionale di questo Governo. Probabilmente ci saranno ulteriori modifiche e per il momento i dettagli forniti con le slide sono troppo pochi per un'analisi approfondita. 
La sostanza delle riforme però è ben chiara, la ratio che vi è dietro altrettanto, per cui almeno su queste si può dire qualcosa. Di negativo, ovviamente.

Prima di tutto bisogna capire in che modo nasce l'idea di fare una riforma, in qualsiasi àmbito.
  • Qualcuno individua la ripetizione sistematica di un problema all'interno del sistema di riferimento, ogni volta che questo viene messo in funzione.
  • Stabilito che il problema sia dovuto al sistema in sé e non semplicemente ad un cattivo funzionamento dello stesso, si ricercano nel sistema l'elemento (o gli elementi) che sono causa di quel problema.
  • Individuati gli elementi causa del problema, si fa un progetto di revisione del sistema.
  • Possibilmente, prima di procedere con la revisione e la riforma, si fanno simulazioni del funzionamento del nuovo sistema, per capire se il problema sia stato rimosso. Nel caso specifico delle riforme costituzionali, quest'ultimo punto è abbastanza problematico, poiché una eventuale simulazione sarebbe puramente intellettuale. 
Qualunque Governo del mondo è costantemente tra il primo ed il secondo punto. Individuano n-problemi, tutti più o meno inventati o conseguenza dei veri problemi, e ricercano soluzioni altrettanto campate in aria. La naturale conseguenza di questo lavoro sull'aria fritta è, ovviamente, il nulla

Il Governo Renzi sta avendo il coraggio di spingere il nulla molto oltre, fino al punto tre. Peccato che il Governo Renzi non sappia o finga di non sapere quale sia il problema che si ripete sistematicamente nelle istituzioni. Per sopperire a questo elemento essenziale, per mascherarne l'assenza, il Governo Renzi si sta cimentando in una profusione di progetti di riforma, ove ognuno vede la soluzione ad un problema che ha già nella testa, ma che non è mai stato circoscritto davvero, con  precisione, dal Governo. 

Il problema che un Governo onesto avrebbe dovuto individuare sta nella concezione stessa di Legge e dei poteri dell'assemblea elettiva.
L'attuale sistema istituzionale italiano dovrebbe funzionare in un gioco di contrappesi tra Parlamento (potere legislativo) e Governo (potere esecutivo), l'uno controllore dell'altro. Da sempre, tuttavia, in questo sistema esiste un terzo attore importantissimo, i partiti politici.
I partiti politici si sono posti come mediatori tra Governo e Parlamento e tra Legge e Realtà.

Nel primo caso, ponendosi come ponte tra potere esecutivo e legislativo, hanno annullato qualunque sistema di contrappesi, armonizzando l'azione tra le due istituzioni. A prima vista sembrerebbe un vantaggio, ma il risultato di questa armonia è il potere assoluto del partito che ha preso il monopolio decisionale. E si sa che le situazioni di monopolio non portano mai alcun vantaggio al consumatore finale, poiché il monopolista non ha alcun rinforzo negativo in caso di comportamenti scorretti.

Per spiegare il secondo caso, quello di mediazione tra Legge e Realtà, devo però premettere una cosa: con "Legge" intendo non l'atto formale prodotto dall'attività legislativa del parlamento, bensì la norma generale ed astratta che mette per iscritto ma non modifica quegli usi e costumi di successo selezionati dalle società umane anche prima di darsi ordinamenti statali o costituzioni. Rientrano in questa concezione non solo le usanze come "pacta sunt servanda" (i patti vanno rispettati) che sono alla base dei rapporti economici tra umani, ma anche la concezione del valore dell'essere umano stesso.
Con una simile concezione, Legge e Realtà potrebbero benissimo essere la stessa cosa. La Legge sarebbe, insomma, una norma ricavabile dallo studio dell'azione umana e posta a difesa di essa.
Se in ogni società umana è universalmente riconosciuto che il rispetto di un patto sia essenziale, un intervento dello Stato mirato a stravolgere questa consuetudine è una violenza commessa sugli individui e sulla società. Purtuttavia, attraverso norme chiamate "legge", il Parlamento ha fatto anche questo: ha permesso che lo Stato potesse non rispettare i patti contratti con i suoi cittadini, indebitandosi all'infinito e privando il cittadino di ogni mezzo per costringere lo Stato a pagare quanto gli è dovuto. Al contrario, però, la medesima "legge" impone al cittadino una precisione svizzera nei pagamenti allo Stato. 
E' soltanto un esempio, ma come questo se ne potrebbero fare molti altri.
Nel suo lavoro di mediatore tra Legge e Realtà, dicevo, il partito ha fatto credere che in alcuni casi (stabiliti da lui arbitrariamente) la Legge possa essere modificata, erosa, fornita di eccezioni, per adeguarsi non alla Realtà, ma ad un concetto di realtà che il partito vuole costruire da zero; ad una sua visione di realtà, insomma. 

Potrebbe sembrare speculazione teorica senza fondamento, ma a causa di questo modo di concepire la Legge, abbiamo un parlamento che può legiferare su ogni aspetto della vita degli individui e del funzionamento della società, con una serie di norme che hanno sostanza di provvedimento particolare e che stravolgono le normali interazioni tra individui.
Quando chiedete una riforma sul mercato del lavoro, per esempio, state semplicemente dicendo allo Stato di immaginare un altro mercato del lavoro e di provare a crearlo tramite altre norme, come il legislatore fosse un dio onnisciente capace di far funzionare le cose laddove esistono milioni di attori con altrettanti obiettivi differenti.

Premesso ciò, ritorno sul punto che avevo abbandonato: qual è il problema che avrebbe dovuto individuare il Governo?
Risposta: la confusione tra potere legislativo e potere politico. L'uno difensore della Legge, l'altro produttore di norme particolari avendo come scopo quello di direzionare gli sforzi dell'apparato statale su un problema o un altro. 

Essendo tali poteri confusi, accade sovente che il potere politico tenti di risolvere i problemi invadendo il campo della Legge.
Ritornando all'esempio già fatto: lo Stato non paga i suoi debiti e viene meno ai patti. Il potere politico, anziché intervenire sulle finanze ed evitare a priori che lo Stato si ritrovi in una situazione del genere - come fa ogni imprenditore da oggi a 10.000 anni fa - il potere politico, dicevo, invade il campo della Legge e stabilisce che lo Stato può anche non pagare perché esistono interessi superiori (sic!) da tutelare. 

La soluzione viene da sé. Anzi, sono innumerevoli, le soluzioni in campo pratico. In linea generale si potrebbe dire che la soluzione sarebbe la codificazione sistematica dei diritti fondamentali e la formazione di un'assemblea (eletta soltanto da chi non ha legami con i soldi pubblici) con il compito di difendere questi diritti da ogni ingerenza del potere politico. 
Ma perché tale sistema funzioni è purtroppo necessaria una coscienza collettiva dell'importanza dei diritti fondamentali dell'uomo. Perché funzioni, un'assemblea in difesa della vera Legge dovrebbe avere l'appoggio di tutti e funzionare da vero contrappeso al potere politico, oggi assoluto.

Nelle riforme istituzionali di Renzi non v'è nulla di tutto ciò. Il problema della lentezza dell'iter legislativo è relativo. Esso è conseguenza non dell'assetto bicamerale, ma del controllo capillare che i partiti vogliono avere sulla società, e quindi della produzione di atti legislativi dettagliatissimi e compromissori, figli di accordi tra le corporazioni che i partiti difendono. La parte più lunga dell'iter è quella di discussione, infatti, e spesso inizia fuori dal parlamento, nei partiti. 
Ma il problema dell'Italia, come detto, non sta nella lentezza dell'iter legislativo. Anzi, oserei dire che la lentezza dell'iter ci sta dando il tempo di adeguarci alle leggi sempre più liberticide.

Per il resto attenderò il testo finale, giusto per speculare un po', ma sappiate da principio che qualora si facesse, questa riforma non risolverebbe un bel niente. 

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